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Via Corsica
Una via sconosciuta ai più, eppure famosa ...
E' corta e stretta; forse la più corta e la più stretta di Cupra. Eppure mi è rimasta dentro, fin da bambino. Rispetto a via Castelfidardo che passa dietro al palazzo del Comune, è come un vicolo, una minima rua, quasi una calle che sbuca ad un tratto nella Piazza Grande, con le doppie logge affrontate, le scalinate, la chiesa come fosse Trinità dei monti; e il traffico nel mezzo, i caffè, la fontana, le botteghe, i rumori, le voci, le persone, come già preparati per la scenografia di una qualche Cavalle­ria Rusticana locale. Si ha come l'impressione di passare da una calle silenziosa a un "campo" veneziano, se non addirittura alla Piazza San Marco brulicante di vita. Anche Cupra, del resto, è città di mare e anche più antica di Venezia. E il mare è lo stesso, molto più piatto e addomesticato sulla laguna, molto più libero e mosso qui a Cupra.

Mi piaceva, da bambino, sbucare d'un tratto in tutto quello spazio, sorprenderlo da dietro e scrutarmelo poco a poco, centellinarlo come una "sorpresa", e poi, d'improvviso, irrompere magari a corsa per godere del colpo d'occhio tutto in una volta. Anche in Piazza San Pietro era bello così, dicono, scoprirla d'un tratto dopo lo stretto cammino delle due strade che accompagnavano i pellegrini fin dal Medioevo, invece di quell'orrendo budello di Via della Conciliazione che, per di più, non concilia nessuno.

Nel suo piccolo c'era tutto. Da una parte la muraglia solenne del Comune che almeno come architettura ha sempre dato l'idea di essere solido e ben costruito, dall'altra c'era un muro piuttosto basso che faceva da limite ad un orto, a un giardino con tanti aranci, pieni di frutti d'estate, degli aranci che sbucavano dalla vecchia pietra del muro misto ai blocchi di conglomerato naturale, quello che viene dai colli vicini, il vecchio fondo del mare lasciato in secco lì a pochi metri dal centro del paese. II giardino segnava il silenzio a contatto diretto con lo spazio più pubblico e ufficiale che Cupra possiede, il dentro e il fuori sposati insieme, qualcosa di particolare e di prezioso anche per un bambino, senza che forse me ne rendessi conto.

Per terra, come selciato, i ciottoli, un vicolo tutto di ciottoli, mentre nelle strade maggiori i ciottoli li avevano solo le cunette per l'acqua piovana addossate alle case; i ciottoli veri, presi dal mare e spaccati in due, ben connessi l'uno accanto all'altro come a formare una specie di solido mandorlato. C'è rimasto anche adesso il selciato, intramezzato e umiliato da larghe chiazze di anonimo e freddo cemento.

Io ci scappavo, mi ci rifugiavo dalla piazza in quella viuzza, a fare le cose che non è bello, o non è possibile fare in piazza con la stessa calma, difesi dal silenzio, come mangiare un pezzo di mandorlato, un "duro" di menta, un bastoncino di liquirizia amarognola che compravo di nascosto o mi facevo regalare dalla Sora Anita, dura con gli altri e tenera con me, naturalmente odiata dalla mamma perché mi "viziava".

Mi nascondevo anche ' quando si aspettava una "corriera" sull'angolo dove si aspetta anche oggi, diretti dove ci fosse una Sagra o solo una pizzicheria dove comprare del ciavuscolo o del buon salame. E allora i grandi a urlare il mio nome non vedendomi più, per paura che la corriera arrivasse quando io non c'ero. Era proprio quello' che mi piaceva, sparire, e poi riapparire d'un tratto e vedere i visi dei parenti prima rasserenati e poi dopo incupiti per far "la morale".

Sparire per poco, farsi desiderare è sempre stato il sogno, il gioco di tanti bambini (e anche dei maturi) per poi ricomparire come rinati una seconda volta. Ci scappavo anche a piangere, per non farmi vedere, quando prendevo un solenne ceffone dalla mamma per qualche sgarbo o rispostaccia, e capitava spesso. Mi leccavo le lacrime amare in due secondi, e, in due secondi, scaturivo trionfante sotto i portici del Comune ridendo forte e urlando a dispetto: "Non mi hai fatto niente, non mi hai fatto niente!"

Via Corsica aveva a quel tempo anche un altro dettaglio tutto particolare e affascinate. Nei pochi metri che andavano dalla muraglia del municipio a Via Castelfidardo (e ora ci sono per poco), c'erano alcuni ambienti siti a terreno al servizio di vari usi, coperti con un tetto sporgente di legno, tutto decorato con motivi geometrici "a traforo", come nei rifugi alpini, la stessa bordura "a trine" come quella che aveva allora il casotto di Baudano nella pineta vicina al mare e anche il casotto nella pineta dei Grisostomi, al paese alto, fatto per appostarsi per tirare agli uccelli di passo, casotto dove andava a meditare mio nonno Ezio durante le sue passeggiate. Già, il nonno stimato e rispettato dai conti Grisostomi come un pari loro. I vecchi, allora, si rispettavano qualunque fosse il loro ceto.

Ma i ricordi di Via Corsica non sono tutti, o quasi, piacevoli e positivi. C'era una volta anche l'ambulatorio dove si correva da villeggianti per qualsiasi accidente, si aveva una medicazione, una fasciatura; i bambini venivano portati o ci andavano da sé, per una sbucciatura, per una disinfezione, io, ricordo, ci andai per una puntura di pesceragno che mi aveva turbato il piacere del bagno. Venni portato di corsa, a cavalluccio, dal babbo, col piede rosso che si andava gonfiando e faceva un gran male.
Via Corsica, per me, era fondamentalmente un rifugio, di più, una proprietà che nessuno poteva rubarmi perché era sì di tutti, ma solo mia, di nascosto.

Ci passo anche ora che il muro e gli aranci non ci sono più, ora ché 'è sparito il tetto traforato di legno e che il selciato è stato profanato. Ci sono passato di proposito, giusto l'altra sera: mi sono chinato furtivamente per prendere un ciottolo "ballerino" e portamelo a casa, come bottino; sono rimasto col gesto a metà: "Che fa professò con quel sasso?" "Stavo cercando di sistemarlo, anzi, penso che questa stradina debba essere restaurata ...lei che ne dice?" Nei miei furti "sentimentali" non sono mai stato fortunato. Era il Sindaco.

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