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Giorgio Calcagno
Il custode
Credo che interiorizzare un’umana figura sia, effettivamente, eternizzarla: almeno in noi, testimoni e passanti di una vita, piena di altre vite, che ad altri dovremo lasciare…Finché saremo, dunque… Il silenzio, ne è la condizione essenziale. Il silenzio dell’ascolto, il silenzio attivo, capace esso solo di sottrarre la figura alla rituale patina dell’attenzione, di assestarne la forma e puntellarla nella nostra coscienza.
Quella vita, è valsa per noi? Se la risposta è onestamente fondata, allora vale e varrà.
Per me, la vita di Giorgio è valsa –dunque vale e varrà- non solo per quanto ha lasciato in letteratura e nel giornalismo ma anche perché è stato un custode di rara sensibilità e capacità: ha tolto dall’oblio vite minori o minime (o apparentemente tali), ha scansato all’agonia la lingua del suo luogo natale, evidenziandone i migliori detti, le più efficaci, intraducibili, espressioni; ha riportato a una temporale luce opere di maestri ridotti all’angolo, sopra sassi aguzzi (penso alla cura esemplare delle poesie di un sapiente come Sergio Quinzio). È stato dunque un custode di molti, Giorgio, ma è stato anche un angelo custode per i suoi più cari – e sarebbe riduttivo riferirsi solo ai suoi Cari. Quella dell’angelo custode è una figura semplice e complessa, allo stesso tempo: e ciascuno la arricchirà della quota di fede che possiede. Qui, vorrei solo accennare a chi fa, accompagna e aiuta, senza essere visto, senza la necessità di farsi vedere: seguendo cioè la propria vocazione sentimentale e la legge morale che le corrisponde.
Scrivo questa nota in un giorno di sangue, per caso. In un altro giorno di altro sangue, come tutti i giorni, da anni. Una città è stata mutilata: degli inermi, in un lampo feroce, hanno perduto se stessi. Sono stati tolti ai loro affetti. Essi, gli inermi, sono innocenti in ogni luogo: dissolti, lasciano ai restanti il pianto, il lutto cieco. La fede aiuta chi ha fede, il dolore è senza consolazione, la vendetta è una perdita. Tutto ciò che noi oggi dobbiamo sopportare è la conseguenza di un mancato, primo, perdono, di una lunga e ostinata assenza di pietà…
Non sembri inopportuno il pensiero per Giorgio tra queste consuete immagini di morte. Giorgio era profondamente cristiano, quindi profondamente contro la violenza; era, appena dietro il suo forte autocontrollo, insofferente alla decadenza delle idee, alla incoerenza della testimonianza, alla sciatteria e all’approssimazione dei comportamenti esistenziali oltre che letterari…
La sua speciale tenacia avrebbe accantonato la gratuità delle dichiarazioni: avrebbe, invece, continuato a fare, a ricucire i fili misteriosi o strappati della vita… Perché l’umanità ha bisogno soprattutto di tessitori di speranza.

Cupra Marittima 7 luglio 2005
Eugenio De Signoribus

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