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È azzurro il paese che amo
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Giorgio Calcagno
Uno sguardo nel cielo di Cupra
Cupra Marittima si può amare, nei suoi colori incorruttibili, quel verde saettante dei pini che cercano di trafiggere l'azzurro del cielo prima di essere trafitti dall'azzurro del mare, si può rimpiangere, nel ricordo di un tempo scomparso, capace di silenzio, quando era ancora possibile ascol­tare il passo del vento fra gli alberi e lo spegnersi delle onde sulla rena. Si può respirare, nei profumi che scendono dalla campagna, nelle brezze che salgono dalla marina, in un dialogo che si fa chiacchiericcio il mattino, monosillabo a mezzogiorno e confidenza la sera. Mario Bucci respira Cupra nel suo presente, la rimpiange nel suo passato, la ama in ogni tempo, Quando scrive, la canta.
Bucci è cuprense di vocazione, prima che di vita; e di cuore, prima che di vocazione. Nato da una famiglia di alta Marca, vissuto e operante a Firenze, è forse l'uomo più innamorato di Cupra fra quanti frequentano il paese, e da più anni. Ma fino a ieri non aveva mai gettato scopertamente le carte sul tavolo. Chi di noi lo conosce, da tante stagioni, aveva sempre ammirato in lui il fine critico d'arte, lo studioso del Gotico e del Rinascimento; qualche volta - più vicino ai nostri interessi - il riordinato­re e commentatore delle antiche immagini cuprensi, per aiutarci a rico­struire il tessuto umano, familiare del paese. Leggere oggi le pagine più segrete, da lui finora tenute nascoste, che rive­lano il fondo del suo amore, sarà per molti una sorpresa. II critico, lo sto­rico, l'interprete di tante opere altrui, cede per la prima volta il campo allo scrittore in proprio, e meglio ancora, al poeta.
Si badi, non c'è nessun sospetto di arcadia nella evocazione di un paesag­gio che per lui risale alla prima infanzia, rivisto con gli occhi dell'anima. La parola, misuratissima, aderente a! reale anche quando deve depurarlo attraverso il filtro della memoria, evita con cura le trappole di un evane­scente lirismo. La sua poeticità può essere piuttosto avvicinata alla prosa d'arte: quella che aveva dato i migliori risultati in Italia fra gli anni Venti e i Trenta, simboleggiata - titolo emblema - dai "Pesci rossi" di Emilio Cecchi. Si sente qui l'alta scuola della Ronda, già ben frequentata da due personaggi molto vicini al nostro autore, Anselmo e Giovanni Bucci.
Mario Bucci, terzo scrittore della famiglia - ma solo in ordine di tempo - ha tenuto buon conto di quella lezione. C'è sempre un duplice piano in queste pagine, dove il mondo oggettivo viene alla ribalta attraverso una trasfigurazione soggettiva, dà il marchio dello stile. Ma è trasfigurazione del vero, non dell'illusorio, e meno che mai del trasognante. La visione dell'autore non si separa dalla concretezza del veduto, che dà un ancorag­gio fermo, credibile, anche alle immagini più sublimate.
Qui ci sono le strade di Cupra, con i loro ciottoli, i loro ricordi petrosi; i personaggi reali del paese, viventi, riconoscibili; le donne, sempre guar­date con tenerezza, qualche volta con amore; gli incontri furtivi sulla col­lina, le serate estive alla Sirenella, che chiedevano corteggiamento, spiri­to di avventura; se necessario estro goliardico, per aspirare a una conqui­sta femminile. C'è il mare, soprattutto, visto dalla balconata del paese alto, sentito fisicamente nel suo profondo, da chi lo ha saputo vivere, andando al largo la notte con i pescatori cuprensi.
Il racconto "Lampare", che apre il libro, è un pezzo da antologia, che ogni insegnante, a Cupra, dovrebbe far leggere ai suoi allievi. E, accanto alla poesia in prosa, Mario Bucci ci dà la poesia in versi, nella seconda parte dei libro. Dove la musicalità dei primi capitoli diventa musica in presa diretta, sullo stesso ritmo del mare: che lui vede, con l’immagine più bella della raccolta, "colore mercurio di luna". È una poesia di trasparenza equorea, di una limpidità cardarelliana, per suggerire il nome di un autore, naturalmente rondista, che Bucci dovrebbe avere amato. E alla fine, inevitabile, il richiamo ai "Pesci rossi": che segnano il passaggio di questo mondo dall'effimero all'eterno, come chiedono il cielo e il mare del paese. "Vivevano prima di me / resteranno anche dopo / quando sarò diventato / uno sguardo,/ un palpito azzurro / nel cielo di Cupra".
Tutti coloro che amano questo lembo di terra marchigiana benedetto da Dio - e chi scrive fra i primi - dovranno ringraziare Mario Bucci per aver­ci regalato un simile sguardo.

(da “Il castello di Sant’Andrea” di Mario Bucci , 2001 - Presentazione)

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