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15 (CIL, IX, 5309) [artocria]
Piccola base mutila in alto, rinvenuta a Marano nel 1768.
Irreperibile a tutt’oggi, potrebbe essere murata nel corridoio della chiesa di San Basso alla
Civita, ora di proprietà Morganti, e celata dallo strato di intonaco cosparso successivamente
sulla parete (De Simone).
Boccabianca, 1926, p. 85, nr. XIV; De Simone, 1971-72, pp. 113-114, nr. 30; Mostardi, 1977,
p. 50, nota 52 e p. 76; Fortini, 1981, p. 17, nr. B-4; Perazzoli, 2001, pp. 263-264, apografo a
p. 145, tav. III da G. Tanursi; Cancrini-Delplace-Marengo, 2001, pp. 76-77, CVP 3.
Datazione: improponibile per la mancata presa visione del reperto.
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Ci troviamo dinanzi ad un altro donativo, come quello già incontrato in precedenza ed attribuito
ad Augusto35, anche se nel caso specifico risulta ignoto l’autore dell’offerta. L’oggetto dell’elargizione,
per mezzo del quale il misterioso personaggio intendeva omaggiare ed ingraziarsi la comunità,
è indicato dal raro vocabolo greco artocria, “mescolanza di pane e carne”, mentre il verbo
al congiuntivo ornetur, “venga decorata”, alla fine dell’epigrafe allude ad ornamenti, forse della
statua, cui provvide l’anonimo benefattore con lascito in denaro, secondo l’ipotesi della Marengo.
L’uso di consumare vivande di tal genere non è solo pagano, perché fino a pochi anni fa, in occasione di cerimonie religiose
locali, si mangiavano panini imbottiti con prosciutto e salsiccia, ciambelle con l’uvetta ed il mosto o frittelle; i piatti
adoperati venivano infranti, volutamente rotti e si pronunciava l’augurio “alle anime sante!”, rendendo il cibo, a guisa
di voto, alla memoria dei defunti e dei beati.
Artocria:
termine che traslato dal greco significa letteralmente un “pasto di pane e carne”, una sorta di rustico
miscuglio, di pietanza popolare.
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